L’imperativo folkloristico.
marzo 15, 2010
Io non so, e non m’importa di sapere, cosa abbia spinto i nostri nonni ad abbattere le loro case coloniche per edificare,al loro posto,villette o condominii.
Io non so,e non m’importa di sapere ,cosa spinga oggi i nostri coetanei a prediligere la costruzione ( o l’acquisto) si case nuove,ma realizzate come fossero antiche coloniche,secondo lo stile che qualche architetto definisce happy rural.
Né so,nè m’inquieto, perchè la musica folk s’è aggiornata, è cambiata: sicchè da Romagna mia s’è passati a Ciao Mare,e da Secondo Casadei a Raul Casadei eppoi a Mirko Casadei, che ancora non pare finita.
Né m’importa di sapere perchè un tempo il dialetto era considerato un ostacolo all’italiano come lingua comune; né perchè poi,invece,fu considerato una lingua del popolo,perciò da salvare; né perchè dopo, a salvataggio eseguito, venne considerato uno strumento razzista e leghista, e gente come Van De Sfroos fu guardata con sospetto.
Ieri,però, ho letto un’intervista a Giovanna Marini, che annaspando sosteneva: i canti della tradizione orale non possono essere incanalati in rivoli dove i sentimenti e le emozioni diventano soldi che corrono nelle tasche di coloro che hanno come unico interesse il ritorno economico.
Sicchè, la Giovanna così concludeva: Tutto ciò mi mette un senso di allarme tale da farmi ritirare nel mio guscio,fatto di poco ma sicuro,che non è proprio quel che volevo.
Lo ammetto: una foto così nitida del casino mentale totale di cinquant’anni di sinistra italiana, con quell’attaccarsi alla prima icona contadina che passa, e mollarla incazzati cinque minuti dopo, perchè non vuol restare contadina , io, ancora, non l’avevo ancora vista.
State bene.
Ghino La Ganga