Quando c’era lui.
Maggio 19, 2010
Dall’intervista al costruttore toscano Riccardo Fusi, apparsa nei giorni scorsi sui quotidiani, si evince che l’intervistato s’è dimolto meravigliato d’essere indagato, sebben sia stato proprio lui a querelare Anemone e compagnia: “io son quello che scopre i rapinatori in banca, corre a denunciarli, e rischia d’essere arrestato”.
A leggerla così appare kafkiana, la vicenda; senonchè poi il Fusi la spiega per benino: vinceva tanti appalti in passato, poi più nulla. Se ne è lamentato con Denis Verdini, perchè “da un toscano come lui mi sarei aspettato un atteggiamento diverso”; nonché con il ministro Matteoli, altro toscano, “che ha fatto molto poco per questo paese”; ce l’ha,ovviamente, anche con il faccendiere Piscicelli, che sperava potesse essergli utile a Roma, ed invece “s’è rivelato un grande bluff”.
A prescindere dalle colpe del Fusi, che qualcun altro accerterà, emerge dal suo torrenziale intervento una conferma dell’italiaco assunto per cui, se le cose van bene a noi stessi, allora vanno bene a tutto il paese.
E quando van male per noi?
Beh, allora è il paese che va male : infatti il Fusi,freudianamente, precisa che quando c’era Prodi stavo meglio ( non: “si stava meglio”).
Non è il caso di tornare sullo strausurato familismo amorale di Banfield, per il quale in Italia gli abitanti ritengono che gli interessi fondamentali del paese siano il proprio, e quello di qualche parente stretto.
E’ sufficiente ricordare chi, in passato, applicò la coincidenza tra interessi propri e del paese in grande stile, secondo quel criterio di “privatizzazione degli utili/socializzazione delle perdite” che ha avuto pochi eguali al mondo.
Certo:aveva ben altro stile nel conversare,nel vestire, nelle vacanze, ed anche nel rapportarsi alle donne, con le quali ( non delle quali,come precisò) lui era uno che parlava parecchio.
Evitando l’argomento appalti, probabilmente.
State bene.
Ghino La Ganga