Atto di dolore.

giugno 9, 2011

 

 

Voci insistenti indicano, in una di queste tre qua sopra, il futuro assessore alla cultura di Rimini.

 Ohimmisignùr, ohilmigesù, ohilmibambìn, o pori i mì boc, o pori al mì gàmbi; pora zènta ad rèmin, pora zènta d’là rumagna, pori e mi patàca, pori e mi nòn, pori e mi bà, poveri noi, poveri loro, poveri sopra, poveri tutti, poveri essi stessi, ma poveri anche loro stessi; povera città, povera la mia età, povero borgo mio, povero mondo pio, povero anche mio zio, piccolo e secco rio, cresciuto senza fìo; pora terra mia, per piccin che tu sia, pianger mi fa la madonna, quando per te passa con gli angeli dritti, in colonna.

State bene.

Ghino La Ganga

 

Il film “L’albero della vita” di Terrence Malick, detta alla buona, e’ una illustrazione di alcune idee del sistema filosofico heideggeriano, tra cui:

a) la “gettatezza” dell’uomo in un universo preesistente a lui (la sequenza delle tempeste solari giu’ fino ai dinosauri);

b) l’essere-nel-mondo, per cui gli adolescenti nel film non si “formano” ma utilizzano le esperienze per accedere all’esistenza, di cui tuttavia ricorre il carattere passivo;

c) la irrisolutezza del contrasto tra essere e pensiero, per cui l’uomo accede al mondo tramite degli a-priori gia’ strutturati (le scene con i riferimenti religiosi, le messe, la madre che dice “quella e’ la casa di Dio”);

d) il concetto di “destino” in Heidegger, come evento puro che segna il tuo orizzonte, il tuo “progetto” (la fine con Sean Penn sia bambino che adulto e tutte le persone che ha incontrato, in una fusione bergsoniana di virtuale ed attuale);

Illustra inoltre una opzione di trascendenza senza postulare Dio: il senso della vita di Sean Penn e’ la sua camminata che, da un deserto, arriva all’infinito consolatorio del mare. Affrontando la morte del fratello, arriva alla propria realizzazione.

Ambizione gia’ presente nel “La sottile linea rossa”, e qui portata ad una piu’ soddisfacente compiutezza, un’opera che il regista americano, per tanti anni professore di filosofia continentale, covava da molto tempo.

Detto questo, se tagliava mezz’ora buona di pugnette tra Brad Pitt e i figli il film – con echi di Spielberg, Lynch, Kubrick ed altri – secondo me ne guadagnava. In ogni caso, rifuggendo rossellinianamente dal desiderio di “fare arte” ed
abbandonando teatro e nessi logici, questo film si puo’ scomporre e ricomporre a piacimento, con buona pace di Gramellini. Gli addentellati storico-sociali – la segregazione dei neri, il riferimento a Waco e
di conseguenza al suprematismo bianco, le battaglie di retroguardia della destra religiosa texana – possono essere ricondotte non ad un generico autobiografismo ma ancora una volta all’assunto heideggeriano dell’essere come ontologia e modo
costitutivo.

Fuori dai denti: il dato piu’ allarmante per Berlusconi e’ che la sinistra vince
nonostante il riproposti compulsivo di Vecchioni e Jovanotti: dato il livello medio dell’elettore
di destra, in tempi di vacche grasse sarebbero bastate un paio
di strofe tratte dalle loro lagne sfinenti per riconfermare le ragioni
di appartenenza al Popolo delle liberta’. Se nemmeno quel
sentimentalismo piccolo-borghese del cazzo alla Pupi Avati
della canzone riesce a reindirizzarti
verso Berlusconi, allora e’ proprio finita.

Altro indizio pericoloso. L’altra sera la Dandini ha presentato
un tremebondo Capossela ormai all’ammazza-caffe’ con le seguenti
parole: “Un cantante, un autore, un poeta, un profeta, ma anche uno
sciamano” – segue maletta infinita di Capossela sulle sirene e il
mare in una centrifuga di giramenti di maroni in progressione
isometrica. Roba da telecomandare gli aventi diritto a spendersi
in prima persona per Lettieri e la Moratti: e invece niente, un
cazzo neanche li’.

Sentita anche l’ultima “canzone” di Caparezza, il giovanni allevi
del rap nostrano, grande esponente
dell’hip-hop italiano (boh, se la giochera’ col piotta, sa il
cazzo…), quella specie di collage di strofe idiote sul mondo
della musica, una cosa non dico inascoltabile ma persino offensiva
per chi sia appena arrivato in eta’ scolare con un iq da tornitore. Mi
ha ricordato il miglior Fabri Fibra, quello del pezzo sulle donne, quello da fucilazione senza neanche un processo-farsa.

E poteva mancare Nina Zilli? Su RadioDue Federica Gentile, che ormai e’ a
rischio esaurimento nervoso dopo essersi fatta tutti i concerti degli
“artisti” italiani – quei bluff sublimi alla Cremonini o le band “indie” tipo
Marta sui tubi, che se proviamo a confrontarle con gente tipo Arcade Fire, Fleet Foxes
e financo Rosebuds si apre un varco nell’antimateria – ce la
metteva tutta per trovare qualcosa di positivo o almeno spiritoso
da dire durante il suo concerto, nel tentativo disperato di gestire tutta
la supponenza e la prosopopea della Zilli, tra “omaggi alla Motown” e
“studi fatti in America” (pero’ poi siamo dovuti tornare al paesello,
il curriculum della Zilli da Starbucks non aveva convinto i baristi anziani, e li’ di una che gorgheggia mentre ti fa il frappuccino se ne metabattono i coglioni).

Stremato, nella speranza di sentire qualcosa di decente, mi ributto su Rai Tunes
di Alessio Bertallot, piacione come non mai e fantomatico esperto
di dubstep, grime e altri generi che vanno tanto a Londra. Boh. Ieri sera
ha messo in sequenza due pezzi che mettevo sempre io – poco convinto – al Wadada a fine
serate nel 2003: “Gorecki” dei Lamb e “You’re not alone” di Olive. Mah. Pero’
Bertallot fa tendenza, anche se di hip-hop vero non sa una sega. Ma almeno
si ascolta, distratti, senza sfondarti troppo i coglioni.

Si salva niente, chiederete voi? Ma certo, come no. Non siamo affatto
d’accordo con quei disfattisti secondo i quali l’ultimo Vasco e’ indistinguibile
dal peggior Ligabove. Non scherziamo: tra muggiti di uno e farfugliamenti dell’altro,
possiamo senz’altro dire che questo Vasco Rossi ricorda tranquillamente il primo Marco
Conidi, quello piu’ arrabbiato, quello di “C’e’ in giro un’altra razza”. Poi, per il
resto, l’eleganza dei pezzi ricorda Armani (Marco, autore dell’indimenticabile “Tu dimmi un curore
ce l’hai…”).

    

 

                                                                                                                                                                     

Non capita spesso di incontrare un genio. Sicchè, quando si sa che c’è ne è uno in circolazione da queste parti, bisogna cercar d’incrociarlo. Ad esempio, io, il tizio trentanovenne che spacciava droga al Peter Pan di Riccione e che, al momento dell’arresto, ha specificato il suo lavoro come sono un capo tifoso del gruppo Ultras Viking Inter , vorrei conoscerlo. Sarà dura, già lo so : mi toccherà di deambulare incessantemente tra tribune di stadio, discoteche, qualche caserma, qualche carcere. Tuttavia, conto sul Vostro sostegno. Vi farò sapere.

State bene.

Ghino La Ganga