Miss sfiga.
settembre 20, 2011
Con Frizzi che pare la Dc degli anni settanta, ma senza averne la sicurezza; la Mirigliani che fa la dura, senza capir che esser scambiate per tenutarie è un amen; il Sindaco di Montecatini che comincia a capire che l’han fregato, e che il bilancio comunale avrà un collasso; la Giacobini che fa la morale ed è conciata peggio che nel 2010, metà faccia le è definitivamente scesa a terra, ma la sorpresa è che è la parte destra, non quella sotto ; la Riccobono che fa la top model anche se non se la fila più nessuno, le concorrenti che descrivono la loro giornata tipo: studio, palestra, amici, famiglia, animali, pulizie di casa, studio, palestra, amici, animali, studio, famiglia, in una litania ripetuta fino all’angoscia. Con le tre, escluse perchè han posato nude, che piagnucolano, ma riconoscono che il regolamento esiste quantunque crudele, mentre la giuria imperversa a colpi di: è un bene difendere il pudore punendo il nudo, e avere alzato l’età della gara, così difediamo le minorenni. Con certi che chiedono la partecipazione non di taglie semplicemente forti, ma sempre più forti: par di capire dalla cinquantasei in su. Con le famiglie in platea, il pubblico in platea , la rai a riprendere, le pugnette sulla timidezza, le lacrimucce di circostanza: io sono una ragazza chiusa, io invece sono solare; fino ai micidiali: io sono aperta ma se qualcuno vuole entrare troppo poi mi chiudo; io all’inzio mi chiudo, ma poi mi apro e vengo fuori. Sicchè spegni la televisione, e su un giornale locale leggi che dalle tue parti seppelliscono un commerciante sposato e padre di figli piccoli, morto tre notti fa in un residence dopo aver tirato cocaina con una escort; e che la di lui famiglia, dopo averci ben pensato, ha voluto il funerale non privato, bensì ultra-pubblico: così i suoi amici possono salire sull’altare e raccontare di quanto era buono, altruista, generoso, vittima di una ricaduta estemporanea.
Italia: vattene a fare in culo, per favore. E portati pure la miss.
State bene.
Ghino La Ganga
Prigionieri della guerra (*).
settembre 20, 2011
(Avvertenza: questo post era stato pubblicato nel 2008 sul vecchio blog di Anskij, in altra piattaforma. Poichè alcuni che non l’avevano letto ne hanno chiesto una seconda pubblicazione, eccola qua. Con minime correzioni, tra l’altro.)
Son passati più di novant’ anni da quel macello .
Non ci siamo mai liberati dal suo ricordo: per questo fatichiamo a parlarne, anche in questo centocinquantenario del paesello nostro.
Tutto quel che siamo oggi, specie nel male, lo esibimmo già lì, in quei tre anni e mezzo di guerra assurda.
Un imbecille al comando, tanto per cominciare : convinto che undici battaglie sull’Isonzo all’arma bianca fossero l’ideale per vincere.
Sicchè avanti Savoia, con le mitragliatrici degli austriaci davanti a quelle dei Carabinieri dietro, ad assicurare che dalle trincee si scattasse fuori belli contenti : pena una sventagliata a mezza schiena, così punitiva da tagliare in due.
Un aiutino ?
Ah,sì: grappa a fiumi, e anfetamine assortite, somministrate in dosi fortissime a un esercito di semianalfabeti, a malapena parlanti il dialetto del paese d’origine: i quali, se interrogati nelle retrovie , venivan spesso scambiati per austriaci travestiti e messi al muro.
Ingerite le sostanze, uscivano perciò dalle buche ululando a occhi di fuori.
Se sopravvivevano alle mitraglie, e mostravano segni di decerebrazione, venivan puniti come simulatori di shock psichico, e riassegnati al reparto;una pastina non fa poi così effetto:abile e pronto al nuovo assalto.
Fu tutto punitivo, del resto : punitivo era l’addestramento, punitiva era la decimazione del reparto a fine attacco per codardìa, punitive le razioni alimentari, punitive le quote alle quali si combatteva ( anche tremila metri), punitiva la mutilazione lasciata da una mina, ed ancor più punitiva l’automutilazione che s’infliggevano quelli che volevano farsi riformare.
Punitivo fu, financo, l’esser presi prigionieri: niente aiuti dalla Madrepatria, niente pacchi alimentari, perfino una diffida alla Croce Rossa affinchè lasciasse crepare di fame i nostri presi dagli Austriaci .
Fummo l’unico paese a ideare una punizione del genere.
Se poi non bastavano quelle punizioni lì, eran pronte quelle di seconda mano.
Infatti il fronte italiano non conobbe novità assolute: come gas s’usava il Fosgene, talmente bastardo da fare effetto anche 72 ore dopo l’uso epperciò abbandonato dopo il 1916 dagli anglo-francesi; i quali,ad Ypres, avvertiron gli effetti dell’Iprite dopo “sole” quattro ore.
Come arma diabolica s’usò il lanciafiamme, già usato dai tedeschi a Verdun: indi utilizzato dagli austriaci sul Matajur per friggere disgraziati alpini rantolanti.
Non si vide un carro armato : roba da ricchi, roba da fronte della Somme e di Cambrai, mica roba per quegli sfigati sul Piave.
Quegli sfigati che, come eroe di riferimento, potevano al massimo salutare Baracca quando passava sulle trincee a fare acrobazie con il suo Spad, lontano anni luce dalla truppa e simbolo d’una gloria e d’un lusso riservati a pochissimi : tra gli aviatori italiani c’era chi aveva appresso il maggiordomo; quando s’abbatteva un pilota Austriaco lo si andava a trovare in ospedale portandogli doni e un pezzo dell’elica,e si scriveva alla sua famiglia per assicurar che stava bene; roba da romanzo di Dumas.
Poi la punizione più brutta : l’essere umiliati, e il dover constatare che ce l’eravamo cercata e che, in fondo, non ce ne fregava granchè.
Un secondo (ma più furbo) imbecille sistemò così bene l’artiglieria da farci travolgere in due giorni: dal Tagliamento ci si assestò infine sul Piave; roba da matti, a pensare che si doveva sfondar noi gli Austriaci, e non viceversa.
Le truppe lasciate da sole, sbandate, diedero il peggio scatenandosi sui disgraziati civili della zona: furti, violenze, stupri,linciaggi,anche sui profughi durante l’anabasi.
A regolar le cose si pensò, ancora una volta, con criteri punitivi: Carabinieri in alta uniforme agli incroci, e via di esecuzioni sommarie di chi veniva trovato senz’armi e non sapeva spiegare perchè era lì; per risparmiar cartucce, s’usava il bastone, avendo cura di non colpir subito il capo, ma di spezzar le ossa laonde produrre morte lenta e cosciente, sì da servir di monito a chi transitava e vedeva.
Ci si fermò sul Piave, appunto: lì si resistette, ma senza grande gloria.
L’Esercito Austriaco era sfinito: ci si sciolse davanti in poco tempo, e Vittorio Veneto fu in realtà l’inseguire un nemico in rotta spontanea.
No,non fu grande gloria: in fondo lo sappiamo.
Ci rimase l’llusione d’aver vinto una guerra, ed il peso di quell’inferno : quasi ottocentomila morti; quasi duecentomila mutilati; mai calcolati davvero i prigionieri, nemmeno quelli tornati.
Ci rimase un peso anche peggiore : il sapere.
Il sapere di non essere un gran popolo: d’esser al massimo capaci di improvvisare, non di organizzare; d’esser capaci di strani slanci d’eroismo, ma anche di bassezze incredibili verso chi è più debole ; d’esser abili a riciclarsi anche dopo aver commesso le peggio azioni, come capitò al secondo imbecille, quello più furbo.
Quello perfino capace d’esser protagonista di un’altra pagina vergognosa, quella dell’otto settembre.
La pagina che ci confermò che,se siamo quel che siamo, una ragione, a ben pensarci,c’è.
State bene.
Ghino La Ganga
Note :
(*) Titolo di un mediometraggio di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, cineasti di grande valore: ringrazio Anskij d’avermeli fatti conoscere.