E’ sempre rassicurante quando un gruppo, un popolo, una razza a noi estranea si affannano a rincorrere gli stereotipi che “esoticamente” abbiamo costruito su di loro. Bene, secondo me “The Artist” si inscrive perfettamente in quel filone di cinema francese detto cinema delle trovatine. Anzi, qualcuno potrebbe anche arguire che “The Artist” trovi addirittura posto in una ulteriore sotto-cartella, cinema delle trovatine del cazzo.

Il grande cinema francese campa ancora di rendita da quando, negli anni 50, i redattori dei Cahiers applicarono meglio di tutti il metodo Rossellini e le idee di Zavattini. Sono modelli che vanno bene ancora oggi, e per tutti i generi, se pensiamo all’Assayas di Demonlover e ai film di Philippe Garrel. Anche la figura di Ozon andrebbe esaminata alla luce dello scardinamento fenomenologico dell’immagine operato da Rossellini, ma non divaghiamo.

Se uno oggi fa un film sull’ambiente del muto girato con i procedimenti del muto, abbi pazienza, in qualche modo mi devi stupire con effetti speciali e colori ultravivaci. Mi rivelerai aspetti del cinema classico che smentiranno gli assunti di Thompson e Bordwell? Mi istruirai sul modo di rappresentazione istituzionale ipotizzato da Burch? Mi farai almeno vedere un po’ di figa? Niente di tutto questo. Che poi, non e’ neanche un film pensato come un muto, ma un film sonoro senza dialoghi e con qualche ammiccamento all’estetica del muto.

Dovremmo stare ad applaudire perche’ il film racconta “una bella storia d’amore” (sembra di sentire Irene Bignardi) e perche’ nell’ultima scena scopriamo che il protagonista parla malissimo inglese, quando risponde “Wiz plejar” al regista che gli chiede un’altra ripetizione. Caaaaaaaaaaaaazzzo che trovatina. Ah beh, allora ‘sto Oscare te lo sei proprio meritato, Michel. Esticazzi. La cosa che fa piu’ incazzare e’ che di sicuro Hazanavicius lo sa che gia’ negli anni 30 c’erano rudimentali forme di doppiaggio, ma se ne e’ battuto i coglioni: quella cazza di trovatina gli piaceva troppo.

Almeno, come dice Ghino, c’era il cagnolino che era uno spettacolo. Pero’, anche li’, non si era detto che usare il cane e’ fatto solo per scopi melodrammatico-ricattatori? Senza andare a Umberto D., quando tutti rompevano il cazzo a Elsa Morante perche’ non sapeva scrivere per le masse, alla fine lei si era frantumata cosi’ tanto i coglioni che, a mo’ di sfida, scrisse La storia, pigiandoci dentro tutti i luoghi comuni della letteratura popolare, tanto che Pasolini, non capendo un cazzo come sempre, la accuso’ di aver scritto un romanzo ridicolo e consolatorio, mentre La storia e’ solo una enorme presa per il culo da leggere col filtro dell’ironia, come ha detto Agamben.

La differenza tra la Morante e Hazanavicius? Lei almeno aveva scritto L’isola di Arturo, quindi poteva permettersi quel cazzo che voleva.