A rimorchio.
luglio 24, 2014
“Oh.”
“Eh.”
“Niente. Non ho voglia di far niente.”
“Sapessi io. Schienato. Quindi?”
“Quindi: se ci fosse qualcuno che ci rimorchia.”
“Ah, magari. Ma soprattutto una, che ci rimorchia. Sarebbe perfetto.”
“Davvero. Zero preoccupazioni: fa tutto lei.”
“Zero spese: paga tutto lei.”
“Zero impegni: se dopo ti cerca, spegni il telefonino.”
“Cambi indirizzo.”
“Cambi anche nome. Ti ricicli.”
“Che bello. Andando così, a rimorchio.”
“Senza motore. Niente benzina. Niente accelerate.”
“Che bello. Senti, adesso ci provo. Chiamo la Francesca.”
“Osta. Troppo figa. Lei tra l’altro è una che si fa rimorchiare, mica rimorchia.”
“Questo è da vedere. Da un po’ è sempre in giro da sola. Al massimo, con quelle due/tre cretine solite.”
“Che deve averne ben le palle piene.”
“Bravo. Io la chiamo, lei risponde. Io dico solo: Francesca, sono io. E pum, riattacco.”
“E poi?”
“E poi lei mi richiama. Le dico: è un brutto momento, sono depresso, dovrei dirti che… e riattacco. Lei richiama di sicuro.”
“E a quel punto?”
“A quel punto scatta l’invito. Le dico che avrei bisogno di rilassarmi, di andare in un bel posto, butto lì: al Partifico di Torino Marittima, per esempio… e riattacco. Vado avanti così fino a quando non mi ha chiamato e le ho detto l’orario.”
“E dopo?”
“E dopo si va lì. Si cena, si beve. Quando è ora di conto, io mi alzo simulando una telefonata di quelle tristissime… e la lascio lì. Amen, Al conto penserà lei. Io sono troppo depresso. Eh. Lei capisce, paga, e il giorno dopo mi telefona pure per sapere come sto.”
“Mh. La vedo dura, ma se ci riesci poi lanci una via. Faccio così anche io, dopo. Faccio il depresso e vado a rimorchio. E amen.”
“E amen. Oh, adesso la chiamo. Poi faccio sapere. Ciao.”
“Aspetto notizie. Ciao.”
(In sottofondo suggerisco: David Bowie, Shake it. State bene. Ghino La Ganga)