Emiliani postmoderni.

giugno 18, 2015

Luigi Ghirri, Bologna 1986

Luigi Ghirri, Bologna 1986

Ricorre il trentennale dell’uscita del romanzo Rimini di Pier Vittorio Tondelli. Il romanzo non fu e non è  malaccio. E’ il resto della produzione del Tondelli a lasciarmi perplesso. Mi son riletto qualche saggio da L’Abbandono. Appare datatissimo. Con un noioso birignao di fondo. Tutte ‘ste pive sui buoni sentimenti presenti in chiunque, nonostante l’apparenza. Forse andava bene trent’anni fa. Inoltre, mettendolo a confronto con i romanzi che  uscivano in quel periodo negli Stati Uniti, c’è da chiedersi se Tondelli si fosse chiuso in una sua personale valle della buona merenda. E pensare che era partito con Altri Libertini e le sue storie di tossici  sessuomani iper-reali. Poi s’era come appiattito. Comincio a pensare che Tondelli, con  tutta ‘sta melassa nel finale della sua breve vita, non abbia profetizzato né descritto: ma che abbia soprattutto avallato.  Il suo indulgere verso tutto e tutti  ha probabilmente contribuito a dar la stura a tanti, convinti d’esser bravissimi e parecchio ribelli. Pensate al suo concittadino Luciano Ligabue. Già, perché in Emilia gli artisti  si senton tutti geni e dannati. Prendete i Cccp, poi Csi. Costoro avevano avuto qualche intuizione, specie quando criticavano da sinistra la sinistra emiliana ( “un quarto al benessere / un quarto al piacere /  un quarto all’ideologia /  l’ultimo quarto se li porta tutti via”)  . Però non trovarono alternative radicali. Tra Bologna, Reggio Emilia e Modena mancava  lo spazio per ogni rivoluzione:  in questa regione, se uno ha bisogno di una casa non la occupa, ma se la compra, si lasciò sfuggire  ad un tratto uno sconfortato Giovanni Lindo Ferretti. Il quale poi, gira e frulla,  s’è pure scoperto cattolico ratzingeriano. Adesso gira la regione facendo spettacoli con i cavalli in scena. Bah.

State bene.

Ghino La Ganga