The funeral speech.

gennaio 11, 2016

David Bowie

David Bowie

 

 

 

(Avvertenza: questo post era già stato pubblicato su questo blog qualche tempo fa. Mi è parso opportuno ripubblicarlo oggi, con qualche minima correzione nella coniugazione dei tempi. )

Il motivo per il quale apprezzavo David Bowie, era il suo  rimanere coinvolto in cose che non lo travolgevano. Non parlo solo di droghe o frequentazioni. Parlo di esperienze artistiche. Dichiarò  che la sua prima passione era stata la recitazione ( seguiva disciplinatamente le lezioni di Lindsay Kemp), e che si interessò alla musica perché ad una festa vide una sua cugina scatenarsi sulle note di un brano rock’n’roll: lo colpì il poter produrre   una forza così dirompente. La sua educazione musicale, a dispetto del tono dimesso con cui la descriveva ( ‘non credo di essere un gran musicista’ , ha riferito più volte), fu più completa di quella di altri suoi contemporanei: si cimentò anche nel jazz, e pare sapesse  stare discretamente  al sassofono. Attraversò il glam-rock senza scomporsi: oggi si sorride nel  vedere vecchie istantanee ove appare  in paillettes e supertacchi . Fu però  solo un momento, mentre altri suoi  colleghi non riuscirono più a toglierseli di dosso. Questa fu dunque la forza del duca: attraversare stili ed epoche senza fare un plissè,  come fosse l’esperienza di un istante, mai un credo assoluto. La celebratissima trilogia berlinese  Low-Heroes- Lodger  (ma sarebbe più giusto dire: franco-berlinese) fu decisiva – ancor più che per le ottime critiche –  per staccarlo da quel soul nel quale si stava fin troppo immergendo e dalle droghe che furoreggiavano in California. Resta peraltro incredibile vederlo  ripreso nei documentari del 1975 a Los Angeles ove, seppure cocainomane, appariva concentratissimo nello scrivere e correggere il complicato arrangiamento  canto/controcanto/batteria di Right  per renderlo più ‘groove’, spiegandolo ad un semisconosciuto Luther Vandeross e ad un Andy Newmark non ancora membro dei Roxy Music.

Il fisico, poi , gli presentò un pesante conto. Tuttavia all’epoca doveva  essere eccezionale, perchè nel giro di pochi anni gli consentì di passare dal frequentare  lo scoppiato Rick James a discutere con l’ascetico Brian Eno , poi a trattare con la ritmica disco di Nile Rodgers. Quest’ultimo, incontrando Bowie per comporre  Let’s Dance, credeva di trovarsi di fronte Ziggy Stardust ed invece trattò con un inappuntabile yuppie vestito Cerruti, in gran forma grazie a jogging e boxe che praticava quotidianamente.

L’attitudine a vivere senza troppo legarsi pare valesse anche nei rapporti umani.

Tina Turner lo ricorda come una specie di  strambo salvatore, che quando lei era a terra le presentò i produttori che la aiutarono a risollevarsi; indi fece una canzone con lei, poi sparì e ricomparve dopo anni, come se fossero passati due giorni. Una cosa simile risulta pure a Carlos Alomar, suo sodale di tanti LP:  riferì che il Bowie era capace di non risponderti al telefono per mesi, poi di arrivarti  davanti per strada  indignato e di costringerti a subire le sue rimostranze perchè non ti eri più fatto vivo.  Steve Ray Vaughan venne licenziato all’imbarco di un tour, avendo osato rinegoziare il compenso. Brian Ferry raccontò, sbalordito, di essersi sentito chiedere indietro le cinque sterline di una corsa in taxi dopo dieci anni.   Mik Jagger dichiarò di non aver mai conosciuto uno più abile di Bowie nel fregare idee ad altri. L’ex moglie Angela lo definì un figlio di puttana, seppure divertente, che la tradiva in continuazione poi le cantava canzoni al telefono per farsi perdonare. Sicchè lei un bel giorno non lo perdonò e lo lasciò, ma continuò a comprare i suoi dischi.  Forse quel che davvero interessava al Duca Bianco. Addio, grande artista.

(State bene. Ghino La Ganga)

David, i’m only crying.

gennaio 11, 2016

David Bowie

David Bowie

 

Era colto ed aveva una buona formazione teatrale: più dell’essere una delle tante rockstar sembrava gli interessasse  d’essere un artista. Questo  gli permise di rendere serio quasi tutto quel che fece, mentre a tanti suoi colleghi capitò spesso l’esatto contrario. Riuscì a saltar fuori dal glam rock londinese e ad infilarsi nella pre-new wave del periodo berlinese, passando in modo felpato attraverso il soul nero americano: anche solo questo gli vale una menzione nella storia della musica pop. Di lui ci restano decine di brani tra i quali non saprei scegliere il più importante, perché a renderli importanti era, alla fine, proprio lui. Una prova? Le tante cover altrui delle sue canzoni fan venir voglia di ascoltare i suoi originali; gli originali dei suoi colleghi fan venir voglia di ascoltare le sue poche cover di brani altrui. Addio, Duca. Sei stato un grandissimo ed oggi è un giorno bruttissimo.

State bene.

Ghino La Ganga